Cuba è la più grande isola dei Caraibi, le strade de l’Havana Vecchia sono famose in tutto il mondo, così come le sue spiagge!
L’anima di questa Isola ce la racconta Paolo un siciliano che vive a Milano, con grande passione per le persone, per il cibo e per la vita, partito per un viaggio in solitaria e ritornato con una valigia di emozioni.
ALLA SCOPERTA DI CUBA:
Le prime sensazioni contrastanti, l’amore e l’esasperazione, egualmente forti e alternate a ripetizione, alcune situazioni viste e vissute in questi giorni, avevano bisogno di decantazione per poter creare il giusto flusso.
Sono sulla Isla Grande da 6 giorni e mi sembra, allo stesso tempo, di essere arrivato ieri e l’anno scorso.
Cominciando con ordine (o quantomeno provandoci), il vero inizio del viaggio, si è manifestato sotto forma di uno scomodo sedile dell’aeroporto di Mosca. Glissando sull’interessante, quanto illogica, rotta Milano-Mosca-L’Avana, è stato qui il primo assaggio del lungo saluto alla confortevole vita di città e del benvenuto a questa folle parentesi solitaria (solo sulla carta) in salsa cubana.
È la prima volta che imposto un viaggio completamente da solo e l’eccitazione si mescola a minuscole “ansie da prestazione”.
Ho tanta voglia di essere fagocitato. Travolto. Infettato. È la gente, ancor più che le spiagge, ancor più che il cibo e il rum e i sigari e il caffè, ad affascinarmi e a condire il momento in cui compongo, ritualmente, la valigia.
La Havana
Dopo l’ennesimo ignobile applauso italiano, che celebra l’atterraggio, il finestrino dell’aereo veicola ai miei occhi un mix inconfondibile di palme e mezzi aeroportuali sovietici. Non ci si può sbagliare. È già Cuba.
Il viaggio da Mosca mi ha permesso di conoscere Maurizio, un italiano che vive, durante l’anno, col solo pensiero di arrivare alle ferie per tornare qui. Sarà la sesta volta che viene da queste parti, ed è ad un livello superiore. Lui ha gli amici cubani che lo aspettano all’Avana!
Ma il suo piano lo porterà subito lontano, quindi arrivo per conto mio ad una casa particular, scelta a caso, da qualche lista letta su internet, e mi fiondo in strada per addentare subito l’oggetto dei miei desideri: La Capitale.
Una città (come questa) cattura sempre la mia attenzione perché è il luogo dove, maggiormente, il tritacarne sociale mette alla prova l’essere umano. Gli Habaneros (come recita la Lonely), così come i cubani in generale, sono gli artefici del suo fascino: “..cinici e saggi..”. Aggiungerei “compassati” e, spesso ormai, “disillusi”..Si augurano di non aver combattuto per un sogno mai completamente realizzato.
Non siamo nel periodo Especial, post caduta del muro, dove i razionamenti facevano mancare pane e medicine (Oreste, il primo tassista intervistato è stato davvero esaustivo e commovente). Hanno sempre una tessera familiare per la spesa, ma i tempi sono leggermente migliorati da allora.
La varietà di ciò che possono comprare rimane limitata. Riso e fagioli la fanno da padroni (spesso unici protagonisti).
I palazzi decadenti sul Malecon (il lungomare) creano una cornice malinconica e poetica, intrisa di abbandono, ma che una macchina del tempo sembra aver fermato, a ripetizione, dall’epoca coloniale, ai roboanti anni’20, al periodo post rivoluzionario. Tutto miscelato.
Aggiungici il rum, la musica, l’aroma di tabacco e avrai L’Havana.
Ero rimasto alla passeggiata notturna. Paolo sei un genio. Saranno anche le 23..ma tu non hai ancora acquisito questo fuso, e il risultato è il semi svenimento dal sonno in piazza della cattedrale (comunque incantevole, cantiere per restauro incluso). Completo il parterre delle buone idee, provando il mojito (orribile) alla Bodeguida del Medio, come un qualsiasi pessimo turista.
Ernesto (quello con la penna) andava onorato, quindi ho timbrato il cartellino e sono tornato a nanna.
Il mio soggiorno a L’ Havana
Il giorno dopo l’arrivo all’ Avana prendo atto e coscienza di dove sono.
Il balcone di casa mi parla del lungomare più famoso dei Caraibi. Il Malecon mi aspetta per un primo buongiorno. Mary, la signora della casa dove alloggio, è una deliziosa 50enne che ospita da molti anni i vari viaggiatori che scelgono, strategicamente, questa parte della città vecchia come base per la visita della città. La colazione mi rinvigorisce (strano!) con la massiccia quantità di frutta tropicale, a dir poco divina, le uova, i succhi e il fantastico caffè.
Ma ho tanta fame di città. Sul lungomare già suonano e ballano (è il periodo del carnevale all’Avana) la salsa e il dannato raeggeton che mi accompagnerà costantemente, dalle 7 di mattina alle 2 di notte, in ogni singolo, fottuto giorno di viaggio, con buona pace delle mie orecchie, orribilmente violentate dal livello del volume che mi propinano i cubani.
Il dedalo di vicoli della città vecchia è meraviglioso. Gli odori, i colori, i suoni, gli scorci si mescolano e si riversano su questa tela coloniale decadente in una maniera unica ed irripetibile. Sinceramente non riesco ad immaginarla, questa città, ammodernata e mondana in stile “occidentale”.
Questo susseguirsi di locali tipicamente caraibici e di bettole pseudo-sovietiche dove servono sontuosi gamberi saltati, ottimi mojitos con decine di gruppi di son (la meravigliosa musica poetica popolare cubana) difficilmente troverebbero spazio nello stesso paese altrove, qui invece rappresentano anche lo stesso isolato! Questi contrasti assurdi e splendidi mi fanno sentire un viaggiatore incastrato in mille epoche all’unisono.
Gli hotel sul lungomare hanno valore storico e iconografico notevole.
Il Capri, ad esempio, è stato costruito con i soldi della mafia italo americana ed è stato sede della più grande riunione di capimafia negli anni del proibizionismo americano, quando gli yankees venivano qui a spendere i soldi nei modi che tutti immaginiamo, contribuendo al benessere cubano di quel tempo.
Le hall di questi alberghi sono l’ultimo scorcio di lusso di quegli anni. Passarci per riempire gli occhi e per assaggiare qualche drink, sembra d’obbligo.
Ma i cubani? Dove vanno quando devono “svaccarsi”?
I loro luoghi sono abbastanza eterogenei, ma prevedibili.
Il lungomare al tramonto, il parco con la gelateria simbolo dell’Havana, gli altri parchi e le piazze, dove, da qualche settimana, la più grande rivoluzione, dal ’59, ha preso piede in maniera dirompente e che sembra porli nell’anticamera dello sviluppo della comunicazione internazionale: IL WI-Fi.
Orde di cubani finalmente possono parlare con tutti i loro parenti all’estero (Miami) senza assilli, restrizioni e vincoli. Si percepisce commozione e gioia sui loro volti. Mi sentirei davvero egoista nel dire che questo segnerà il definitivo cambiamento (in negativo) per l’isola. Preferisco tenere per buoni i sorrisi dei bambini che vedono i volti dei propri padri su un telefonino.
la mia storia all’Avana non è ancora finita:
Dopo una spiacevole avventura alla banca, dove stavano (vogliamo pensare “involontariamente”) per addebitarmi due volte la cifra ritirata, ho capito quanto vale il turista per loro. Difatti all’ufficio reclami sono stato immediatamente ascoltato e in 2 ore ho avuto le scuse della direzione della banca e i soldi indietro. Chapeau.
Serve ben altro per rovinarmi una vacanza del genere, comunque.
I miei occhi si sono saziati, dopo aver visto anche tutti i bassifondi, vari strati di periferia, il mitico Capitolio, superiore a quello di Washington, chiese e cinte murarie anti pirati. Questa città ha un fascino davvero senza tempo e senza senso. Tutto cadrebbe, ma sta tutto ancora in piedi. La colla sono loro: I Cubani.
Valigia chiusa, si va a Trinidad…
Trinidad
Ah, Trinidad!
150 anni fa, fu schiacciato il pulsante “pausa” e ancora la scena non si è mossa.
Non ci sono più gli schiavi, per fortuna, che alimentano l’industria della canna da zucchero, ma le case con porticati, colonne, giardini e patii del XIX secolo, in tenui colori pastello, quelli si.
Uno degli 8 siti UNESCO, presenti a Cuba, mi accoglie in tutto il suo splendore, e mi fa dimenticare le 4 ore di viaggio in bus, condite da musica e parole (in spagnolo) della Pausini, Ramazzotti, Grignani (cantati a squarciagola da TUTTI i 50enni dell’isola, ndr).
Nella casa dove soggiorno, Lazaro e signora sono gentilissimi e mi conducono alla mia stanza. È una svolta. Cinque ragazzi con cui, in diversa maniera, vivrò alcuni giorni, mi vengono incontro. Tre simpaticissimi Padovani, una ragazza australiana e una eterea, ma cordiale, biologa inglese sono un mix strano, ma vedrete come funzionerà…
In giro per Trinidad
Usciamo subito per la cena con i padovani. Giulia, Federico e Roberto sono un trio davvero delizioso e, loro malgrado, si sorbiranno tutta la mia esuberante loquela dopo circa 4 giorni da solo. Reggono bene l’urto e resistono alla tentazione di avvelenarmi il mojito! Sono già meritevoli di un encomio speciale!
La cena a base di agnello, buona musica dal vivo, e una meravigliosa terrazza sul centro storico coloniale di Trinidad, si guadagnano sicuramente un posto nella top 10 della vacanza. Con i ragazzi indugiamo ancora in mezzo ai quartieri degni di un western d’altri tempi e proviamo anche il buon cocktail del luogo, il “canchanchara” a base di miele e rum (ovviamente), servito nella tipica coppa di terracotta.
Tutto ottimo. Dalla compagnia al set, ai drink. Il cuore è piacevolmente ristorato. Domani sarà tempo di dedicare la giornata all’agognato mare.
Le spiagge di Cuba
La playa Ancon è un bel mix tra la spiaggia apprezzata dai turisti, ma prevalentemente frequentata dai cubani. Vittoria certa.
Io e Roberto ci spariamo cocktails e pranzo in un locale sulla spiaggia. Questo ragazzo è una compagnia tanto deliziosa quanto pericolosa, poiché il convivio è nelle nostre vene.
La soffice sabbia bianca e il brodo oceanico stemperano la stanchezza accumulata fino ad oggi. Mangiare gamberi in spiaggia, oltretutto, rigenera davvero l’anima.
La serata e il rientro a casa ci vedono preparare una bella spaghettata per tutta l’enclave della casa particular. Ebbene si, in valigia avevo un kg di spaghetti, due bottiglie d’olio d’oliva (merce introvabile sull’isola) e una fettona di reggiano, assaltata, con mia grandissima soddisfazione, dagli italiani, già in crisi d’astinenza. Poche cose mi riempiono il cuore come una tavola imbandita, attorno alla quale si radunano persone che hanno voglia di condivisione e certamente nulla mi solletica quanto quattro amici, una spaghettata e qualche bicchiere insieme. È il cuore che ci sorride.
L’indomani è già tempo di salutare gli italiani. Loro tornano a casa, ma nei loro occhi leggo che la vacanza ha davvero sortito effetti positivi. Ci rivedremo.
Viaggiare da solo, si sta rivelando croce e delizia dei nervi. i momenti piacevolmente riflessivi e solitari, si alternano con condivisioni che non possono lasciare indifferenti. Sto raccogliendo diverse conoscenze in questo viaggio. E Roberto, Giulia e Fede sono solo gli ultimi di una serie. La giornata riparte dalle due straniere.
Una australiana. Forte, indubbiamente carismatica e “guida” della strana coppia di bionde rimaste nella casa.
L’altra è inglese. Un po’ Sheldon Cooper, un po’ Carrie Bradshaw, ci farà ammattire con il suo essere svampita e geniale allo stesso tempo.
Loro ancora dormono, io ne approfitto per girare per una Trinidad ancora deserta (alle 11 arriveranno orde di turisti). Un ricco caffè serráno in un patio, prima del delirio turistico, aiuta i miei sensi a raccogliere energie per carburare e, finalmente, per dedicare del tempo a questo diario. È questo il momento in cui la voglia di narrare questo posto incredibile, e i suoi splendidi abitanti, prende il sopravvento in maniera definitiva.
Miffy e Bean (che sta per Benita) le incontro nel pomeriggio proprio nel momento in cui pensavo di sdraiarmi un secondo per ricaricare le batterie. Siamo subito fuori e ci catapultiamo nella “valle des ingenios” adiacente alla città, dove un tempo, schiavi e bestiame si davano da fare per alimentare la filiera dello zucchero di canna e tutto l’indotto dell’epoca. I paesaggi sono mozzafiato. Un misto tra jurassic park e django.
Decidiamo di rimandare il tempo dei saluti. Il giorno dopo siamo d’accordo sull’onorare la presenza sulla isla grande con almeno una capatina in un cayo famoso.
È tempo di spiagge bianche e mari turchesi. Non sono molto avvezzo alla vita da spiaggia, neanche qui a Cuba. Ma tant’è..io mi annoio a stare fermo. quello che mi attrae è la gente. Le città. I miei amati “tritacarne” sociali. Non è un caso scrivere per la prima volta dopo l’esperienza messicana. C’è della comunanza tra queste parentesi, oltre che una ironica successione…
Sulla strada per la costa nord, è d’obbligo una tappa in un luogo di riflessione e di storico esempio.
Il mausoleo del Che: Il monumento si staglia, imponente, verso il cielo di Santa Clara, cittadina avanguardista Cubana e ricorda a tutti pensieri, esempio e gesta dell’Ernesto (quello col fucile), che, a Cuba, ha dedicato anni fondamentali per rovesciare il regime Bautista, rifiutando incarichi ministeriali per combattere in altri luoghi, dove ancora i regimi predominavano.
La lettera indirizzata a Fidel, riprodotta interamente in pietra, fa venire i brividi sia che si condivida il pensiero di fondo, sia che lo si contesti. È l’esempio, la chiave.
Dopo un paio di sospiri (personali), ci rimettiamo in macchina con destinazione il mare.
Le coste sono davvero mozzafiato, comunque. Il vento rende piacevole anche l’implacabile sole caraibico e il paesaggio del cayo santa maria, delle sue spiagge “Brujas” e l’incantevole playa gaviota, riserva naturale e delizia dei turisti di ogni dove, ci allieta per tutta la giornata dedicata a questa parte di Cuba. Remedios, paesino coloniale scelto come base per lo spostamento al mare, si presta perfettamente al prosieguo della nostra piccola avventura coloniale.
Io e Miffy ignoriamo bellamente i Cayos, dato che siamo qui soprattutto per gente e luoghi, non tanto per il mare. Bean invece decide di andare a Cayo Coco e quindi l’appuntamento è alla prossima tappa.
L’indomani, il ritorno alla città, come concetto e come tipo di luogo da visitare, ci riporterà alle labirintiche vie di Camagüey e al suo fermento culturale, inimitato ed inimitabile, fuori dalla capitale.
Il labirinto di viuzze inestricabili lascia facilmente immaginare il tentativo di disorientare i pirati che l’hanno razziata innumerevoli volte, precedentemente.
Camagüey
Camagüey presenta una pianta urbana molto europea. Sembra che l’architettura sia stata più clemente con questo pueblo. Roccaforte cristiana, ha chiese di buon livello e una delle rare vie pedonali cubane lascia piacevolmente attratti i turisti da negozietti, bar e ristoranti. Aspettando l’inglese, con Miffy ci facciamo qualche mojito in un bel bar con patio e musica dal vivo. È già triste pensare di salutarci poche ore dopo, ma decidiamo di non indugiare su pensieri spiacevoli.
L’ultima cena sarà memorabile! Raccattata la biologa reduce dalla spiaggia, accettiamo un consiglio da un ragazzo del posto e occupiamo (letteralmente) un locale specializzato in pesce…In 10 giorni avrò fatto fuori metà della fauna ittica dell’Atlantico, ma non ne sono stanco, c’è ancora spazio per dell’ottima ulteriore aragosta, pesce pargo e gamberi. Olè.
Il personale del locale è davvero squisito, scattiamo le ultime foto tutti e tre insieme e passiamo qualche ora alla locale casa della Trova a sentire l’ennesima iniezione di salsa e rumba.
La casa e, soprattutto la padrona di casa, di Camagüey sono da primato. Una dolcezza, disponibilità e affetto ineguagliati che condiranno ulteriormente di tristezza, il nostro arrivederci.
Verso Santiago de Cuba
Da che mondo è mondo, andando verso sud, qualcosa cambia. Nell’aria, nella gente. A Cuba, questo non fa eccezione e, in aggiunta, ci si proietta anche inesorabilmente verso est. Le guide lette finora mettono in guardia dagli abitanti della città dove mi sto dirigendo. Lestofanti, truffatori, atmosfere cupe, polverose, torride sono il contesto con cui, Santiago de Cuba, fiera detentrice del primato culturale isolano e piccolo set di un intrigo internazionale, mi accoglie.
Cominciamo bene, dato che la signora che mi aspettava per la stanza, mi sbologna allegramente da un’amica. Poco male, sta vicino e non mi tange. Mi precipito subito in strada perché voglio addentare questa città al tramonto. E non sbaglio. Figlia del mare, si inerpica sulla collina con stradine e scalinate davvero deliziose. Qui i coloni franco-haitiani hanno fatto il grosso del lavoro. Come altre 6 sorelle, Santiago ha, da poche settimane, compiuto 500 anni e l’orgoglio trabocca da ogni angolo.
Ceno con altro pesce e gamberi su una terrazza con vista e poi decido di onorare la culla della musica cubana con una visita alla Casa della trova, il santuario della Musica made in Cuba.
In fiero rispetto della solita constatazione che il mondo è minuscolo, re-incontro i due ragazzi che avevo già conosciuto all’Avana, stavolta accompagnati dal resto della truppa. La serata è davvero divertente e il locale sembra un po’ un saloon con musica latina, sigari, birra e cocktails a buon prezzo. La notte scorre allegra, nonostante il caldo torrido, e ci salutiamo, questa volta definitivamente (ma solo fino a Milano, ne sono certo..). Mi aspettano altre 24 ore in questa città ma voglio assolutamente assaggiarne la notte, i bassifondi, i forti odori di rum, polvere e salsedine incollati tra loro da un’umidità feroce come un collage in cui si è abusato della colla vinilica.
Ovunque, nelle zone d’ombra (…), cercano di vendermi di tutto. Dal rum ai sigari, alle donne. Onorerò esclusivamente la proposta del rum, per fare qualche regalo, ma solo il giorno dopo.
La mattinata non conosce ancora la luce che già è permeata dal caldo opprimente. La giornata passa relativamente in fretta tra le piazze ancora da visitare, gli aggiornamenti sulla mia salute e sul giro che sto facendo, a casa e alla mia Rossa, la negoziazione di buon rum, inerpicandomi in palazzine dimenticate da dio, in barba ad ogni raccomandazione delle guide. Cuba è sicura. In nessun altro posto, visitato, ho avuto ladecisa sensazione di poter fare qualsiasi cosa a qualsiasi ora della notte in qualsiasi angolo buio delle città. E vale anche per tutte le ragazze che ho incontrato fin qui. Atmosfere e sicurezze d’altri tempi, quando, da piccolo, rincasavo a notte fonda, d’estate, dopo interminabili sessioni di nascondino o calcetto.
Il turismo di massa cerca di convincere tutti del contrario, per ovvi motivi di interesse, ma mi sembra davvero insopportabile. Mi auguro che i cambiamenti, ormai palesi, non infanghino, tra le altre cose, questo aspetto prezioso e romantico della socialità e tradizione cubane. I due signori della casa particular di Remedios, a cui ho esposto i miei timori, mi rassicurano sulla solidità della cultura cubana. Non diventeranno un nuovo Messico per gli USA. Dopo un po’ di viaggi, sono un po’ disilluso, ma mi auguro immensamente che abbiamo ragione loro.
La notte in autobus (e gran parte del giorno seguente) trascorrono senza problemi, se si esclude l’incalcolabile sequenza di bestemmie in aramaico antico a causa delle strade in versione groviera. Il sonno, ovviamente, tarda ad arrivare, ma alla fine, riesco a far passare queste ore infinite di viaggio. Ormai non sono neanche più stupito di ciò che sono disposto (o felice) ad accollarmi per amore di quella sensazione indescrivibile che solo chi attraversa stazioni, aeroporti, strade buone e sconnesse, può capire.
L’arrivo all’Avana e la sensazione annessa, mi fa capire qual è davvero la mia città prediletta sull’isola. Tutto troppo da spiegare e comprendere. L’Avana è L’Avana.
Elisa, una ragazza di Udine conosciuta sul bus condivide con me un paio di mojitos prima di andare in aeroporto ma io e la mia nottata nella capitale siamo ancora giovani. Cena con uno dei rari “cerdo, arroz y frijoles” il piatto tipico di Cuba che mi sono concesso in viaggio e poi via, alla ricerca di scorci interessanti ancora mancanti al mio puzzle habanero.
Le vie “malfamate” accanto al Capitolio sono davvero affascinanti. Non hanno nulla di malfamato in realtà, sono solo amabilmente riempite di cubani che si dedicano a tutto quello a cui si dedica un cittadino durante la notte ma con una, recente, aggiunta. Dove, un tempo, si proponevano ai turisti donne, rum e sigari, adesso è un susseguirsi di spacciatori di tessere Wi-fi. Eh si..è proprio il 2015.
Torno a casa. Il mio domani saprà già un po’ più di tacos e di una adorata moltitudine di abbracci.
Gli ultimi giorni sono solo per riordinare le idee, le foto e il cuore, sarà l’anticamera del mio rientro a casa, intriso di felicità per ciò che mi porto, come sempre, dietro, dopo un viaggio del genere.
Le folcloristiche auto d’epoca, che popolano l’Havana, sono un bijou per le macchine fotografiche, ma non per i polmoni.
Torno a fare il “cittadino” come piace a me. Lunghe passeggiate caratterizzano questo pezzo di giornata che mi è rimasta. Domani mare, almeno rinvigorisco un po’ l’abbronzatura. Sono pur sempre nei Caraibi!
In aeroporto compro i regali al buon Clark che, nel frattempo è invecchiato.
Guardando fuori dalle finestre dell’aeroporto, mi rendo conto che sta finendo tutto. Questa parentesi, a volte infinita, altre velocissima, si chiude alle mie spalle e, probabilmente, il ritorno al vecchio continente mi vedrà di nuovo seduto su quello scomodo sedile dell’aeroporto di Mosca a scrivere ad amici e famigliari. Lì, avere internet, non è un problema e sono sufficientemente obiettivo da ammettere che avere il mondo in tasca, ad un clic, è molto comodo.
Però, voltandomi, vedo i bambini e i ragazzi cubani giocare con un legno a mare, o inventarsi un passatempo al parco, ancora prima di avere l’età dei fratelli maggiori, quelli che non giocano più a mare o nel parco, ma si siedono in piazza con computer e tablet.
¡Ah los Cubanos! Croce e delizia di queste settimane.
Loro, ai miei occhi, sono stati il vero protagonista del viaggio. Sembrano una “nostra” foto di 60 anni fa. Con l’agrodolce di ciò che questa similitudine rappresenta.
Tra qualche mese, probabilmente aprirà il primo McDonald, chi lo sa, ma loro come reagiranno?
La costa della Florida si allontana mentre io penso a mille cose, che si schiantano contro un unico innominato pensiero, che permane lì nello sfondo, stagliandosi contro tutte le emozioni che hanno popolato il mio viaggio. Come il Malecon dell’Havana affronta i flutti da decenni. Lo sbattono, provano a cancellarlo, ma lui, decadente senza cadere, si oppone con fierezza all’impeto dell’oceano.
Dà il buon esempio, pensandoci, sembra dire:
“..No hay que llorar, que la vida es un carnaval, es más bello vivir cantando..”
7 commenti
Cuba mi è rimasta nel cuore! Havana vecchia con i suoi mix particolari, Trinad dai mille colori, le spiagge fantastiche (Cayo Santa Maria tra i miei preferiti!), i taxi con la musica a palla, rum a fiumi e tanta tantissima cordialità! Le persone che ho incontrato s sono dimostrate tutte disponibili e cordiali ed è stato grazia a loro che il mio viaggio a Cuba resterà indimenticabile!
Sogno di andare a Cuba da una vita, la loro musica, i colori, i sorrisi dei cubani. Deve essere un posto magico!
Sono stata a Cuba tantissimi anni fa, ero ancora una bambina ma mi ha colpita moltissimo ed è bello ritrovarla tramite le tue parole e immagini!
Anch’io sogno Cuba da una vita…le tue parole e le tue immagini hanno davvero rinvigorito e alimentato il mio sogno: a presto Cuba!
Che foto fantastiche… sembra un altro mondo!
Abbiamo fatto quasi lo stesso tour e abbiamo vissuto quasi le stesse sensazioni. Un tuffo al cuore leggerti e rivivere quei ricordi. Veramente un bell’articolo che ha saputo ricatapultare anche me in questa isola incantevole che con le sue contraddizioni riesce a conquistare tutti. Complimenti davvero! 🙂
Che viaggio stupendo. Vivere cuba attraverso il mare, i colori, la storia e le persone è quello che mi auguro di fare nel prossimo viaggio! Bellissimo post!